Di fronte al massacro che continua ad andare avanti in Palestina, alla repressione delle manifestazioni dei cosiddetti “arabi israeliani”, dei veri e propri pogrom contro gli arabi che l’estrema destra sionista organizza in Israele, l’unica parola d’ordine possibile è DUE POPOLI, UNO STATO. Non saranno certo i governi di Israele o dei territori Palestinesi, l’estrema destra di Netanyahu e simili o gli ultrareligiosi di Hamas, che potranno innalzare questa bandiera. Il presupposto dell’unificazione di quei territori è infatti il superamento di ogni nazionalismo, l’unità di israeliani e palestinesi indipendentemente dalla religione e nazionalità, la lotta per una società completamente differente. Utopia? Forse. Ma citando Eduardo Galeano l’utopia serve per camminare. La sua alternativa, il piatto realismo, è solo morte e barbarie

Quando qualcuno vi dirà che siamo tutti sulla stessa barca, che per uscire dalla crisi dobbiamo fare tutti uno sforzo, ricordategli questo: tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2021 in Italia sono morti sul lavoro due persone al giorno: 185 lavoratori morti. Gli infortuni sono stati 82.634. Sono numeri da guerra. E tutti questi morti e feriti per cosa? Per essere competitivi sul mercato, ossia per aumentare il tasso di profitto dei padroni. E infatti più aumentano i ritmi e i tempi di lavoro più aumentano i morti e i feriti. Il rapporto è di proporzionalità diretta. Ma se a beneficiarci sono i padroni, a rimetterci siamo noi. Ribaltare questa società, abolire il lavoro salariato, costruire un modo di produzione che non si fondi sulla proprietà privata dei mezzi di produzione è una necessità vitale. Oggi, come un tempo.

La democrazia secondo il governo Draghi. Il Recovery Plan verrà ultimato il 27 aprile e finalmente sarà sottoposto alla discussione parlamentare. Peccato che il 30 aprile dovrà essere inviato a Commissione e Consiglio europeo. Quindi se la matematica non è un’opinione: 30 – 27 = 3. Il Parlamento avrà TRE GIORNI per leggere il testo e fare le eventuali osservazioni e modifiche. Tre giorni. Per fortuna che siamo una democrazia parlamentare, in cui il popolo ha la sovranità e la esercita attraverso l’elezione dei suoi rappresentanti e via dicendo…

I lavoratori del magazzino TNT-Fedex di Piacenza sono in lotta da mesi per evitare il licenziamento di 650 lavoratori. Nonostante le cariche della celere, la persecuzione dei sindacalisti più combattivi da parte della magistratura, i commenti vergognosi della procuratrice sulle buste paga dei lavoratori.
Ma al peggio non c’è mai limite. In questi giorni circola un audio che in cui si sente un sindacalista della CGIL prendere accordi con la committenza per fermare gli scioperi in corso. Che la CGIL fosse un sindacato incapace di organizzare una seria lotta sociale nonostante il peggioramento drastico delle condizioni di lavoro e di vita di milioni di lavoratori lo sapevamo. Ma questa è pura e semplice intelligenza col nemico. Tutta la nostra solidarietà va ai lavoratori in lotta: la lotta di classe non si arresta!

«Il lavoro di riforma sociale si muove solo nella direzione e per il tempo corrispondenti alla spinta che gli è stata impressa dall’ultima rivoluzione» (R. Luxemburg)

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Più di una settimana fa due esponenti di Genova Antifascista e del COLLETTIVO AUTONOMO LAVORATORI PORTUALI GENOVA sono stati indagati dalla Questura per le lotte sindacali e politiche condotte a Genova e in particolare nel porto.

Lotte contro la guerra, contro le navi saudite cariche di armi usate durante la guerra in Yemen, contro il fascismo. Lotte che la Questura sta perseguitando con accuse pretestuose.

Lasciamo la parola ai due compagni di Genova Antifascista e del CALP ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà nei confronti degli indagati.

La lotta non si arresta!

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Pochi giorni fa ricorreva il decennale dell'inizio della guerra in Libia. In poco tempo il regime di Gheddafi veniva spazzato via dalle forze della NATO. La Libia sprofondava in un vortice di violenze che dura tutt'ora. Nessun rimpianto per il regime. Un regime brutale, che andava abbattuto. Ma non per costruire quello che c'è ora. È da dieci anni che la guerra infuria. Il territorio è conteso da bande mafiose e gli unici vincitori sono gli Stati occidentali più una manciata di potenze locali. Stati che hanno compiuto una guerra di aggressione nei confronti della Libia, sostenuto milizie islamiste radicali, stretto accordi con criminali di guerra. La responsabilità del disastro umano che si svolge a pochi chilometri da noi pesa sulle loro teste. E non basterà tutto il tempo del mondo per riscattarli

Be’ che dire? Se questo è il modo in cui affronta le emergenze, non ci stupiamo che in Lombardia la campagna vaccinale sia in alto mare…

Circa un mese fa, il 26 febbraio per la precisione, a Roma, due ragazzi sono stati aggrediti per essersi baciati. A denunciarlo è l’associazione Gaynet di Roma, che ha diffuso il video dell’aggressione. Oltre al fatto in sé, gravissimo, la cosa grave è che le forze dell’ordine che hanno preso in carico la denuncia hanno – per usare le parole del referente dell’associazione, Rosario Coco – «faticato a comprendere il movente omofobo».

In altre parole hanno minimizzato e solo una integrazione della denuncia per mettere nero su bianco la richiesta di recuperare i video delle telecamere di sicurezza ha sbloccato l’iter. Nel frattempo la legge Zan contro la discriminazione omotransfoba giace al Senato, bloccata. Secondo la destra limiterebbe il “diritto di espressione”. Nel video si vede molto bene quale diritto di espressione limita

Oggi, per la prima volta, i lavoratori di Amazon entrano in scioperano in tutto il mondo. Verifica dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti nella filiera, corretto inquadramento professionale del personale, riduzione dell’orario di lavoro dei driver all’indennità Covid per operatività in costanza di pandemia, possibilità di organizzarsi sindacalmente per i lavoratori sono le richieste avanzate. Come Controtempi appoggiamo pienamente la loro lotta.

Un mese fa, l'ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio veniva ucciso. Con lui morivano il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, e l'autista, Mustapha Milambo. Da allora molte parole di cordoglio sono state spese e molte lacrime sono state versate. A dire il vero più per i "nostri" caduti che non per l'autista congolese ammazzato. Ma si sa che le commemorazioni operano sempre su un doppio binario… Molte poche sono state le analisi della situazione politica e sociale che ha portato a questa imboscata. Cosa succede in Congo? Più in generale: cosa succede in Africa? Perché quel continente, così ricco di risorse, è così povero? A fine febbraio Pungolo rosso ha pubblicato questo interessantissimo articolo, in cui prova a fare chiarezza sulle dinamiche in atto negli ultimi decenni. Ve lo proponiamo: bit.ly/3c3pyZp

«Si ha sempre ragione a ribellarsi» (D. Bensaïd, Marx l’intempestivo, p. 85).

Ricostruire il profilo intellettuale e politico di Daniel Bensaïd non è semplice. «Militante filosofo», fu tra i protagonisti del Maggio francese. Nel 1974 partecipò a fondare la sezione della IV Internazionale in Francia, la Lega Comunista Rivoluzionaria, nella quale militò fino alla morte nel 2010.

La sua attività e la sua riflessione politica rimangono uno dei patrimoni più importanti per la costruzione di un marxismo critico, in grado di ripensare la lotta per la trasformazione della società attuale. Ricordiamo solo alcuni dei titoli pubblicati in italiano: “Una lenta impazienza”, “Elogio della politica profana”, “Pensare con Marx ripensare Marx”, ma, soprattutto, “Marx l’intempestivo”.

Il 15 febbraio 1999 Öcalan venne catturato in Kenya dai servizi segreti turchi. Circa un anno prima era stato espulso dalla Siria, si era rifugiato in Russia, quindi in Italia dove, in spregio al diritto d’asilo, venne spedito dal governo D’Alema a Nairobi. Da allora è rinchiuso, unico detenuto, nel carcere di massima sicurezza sull’isola di İmralı. 22 anni di reclusione, in completo isolamento. Pare che negli ultimi giorni le sue condizioni di salute siano peggiorate drasticamente. Nessuno, nemmeno gli avvocati, ha però la possibilità di mettersi in contatto con lui. Non si sa se sta male, o addirittura se è ancora vivo. Oggi, alle 17:30 in Via Antonio Canova 36, ci sarà un presidio per chiedere la fine dell’isolamento. Invitiamo tutte e tutti a partecipare!

Cento cinquant’anni fa venne proclamata la Comune di Parigi. Per la prima volta nella storia il proletariato si mise alla testa di una rivoluzione sociale per costruire un modo di produzione, una società, una civiltà diversi. Molti furono gli errori compiuti. La Banca di Parigi non fu nazionalizzata, Versailles non fu presa, il governo provvisorio non fu abbattuto. Questi errori costarono circa 20mila morti e 40mila prigionieri. Se conserva gli artigli, la borghesia sa sempre come vendicarsi. Ciononostante l’assalto al cielo dei lavoratori di Parigi rimase a lungo un esempio insuperabile di sforzo collettivo per spazzare via il marciume di questo mondo. Per questo oggi è fondamentale ricordarlo. Non come nostalgica ricorrenza. Ma come spunto e sprone per nuove lotte. Per un nuovo assalto al cielo.
Viva la Comune!

«La società esistita sinora, moventesi sul piano degli antagonismi di classe, aveva necessità dello Stato, cioè dell’organizzazione della classe sfruttatrice in ogni periodo, per conservare le condizioni esterne della sua produzione e quindi specialmente per tener con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù, servitù della gleba, semiservitù feudale, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo visibile, ma lo era in quanto era lo Stato di quella classe che per il suo tempo rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società» (F. Engels, Anti-Dühring, a cura di V. Gerratana, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 270).

Beppe Sala annuncia il suo passaggio al Partito dei Verdi europei

Ieri era il decennale del disastro di Fukushima. Siamo in epoca di crisi ecologica e la causa principale è l’utilizzo dei combustibili fossili. A più di trent’anni dal referendum qualcuno sembra accarezzare di nuovo l’idea di un ritorno al nucleare. È il caso per esempio del libro di Chicco Testa, dal titolo programmatico: Tornare al nucleare? Domandare è lecito, rispondere è cortesia. No grazie. Il nucleare è una tecnologia che non controlliamo, che appena ci sfugge di mano produce disastri irreparabili. Černobyl', Fukushima, ma anche Kyshtym, Windscale, Three Mile Island, Goiânia… Più ovviamente i depositi di scorie che, soggetti a deterioramento, contribuiscono a inquinare l’ambiente. Il nucleare è una strada senza uscita. La soluzione alla crisi ecologica non passa da qui.

Vaccinazioni in azienda? No grazie! Con l’accordo stipulato da Regione Lombardia e Confindustria è stato fatto un ulteriore passo in avanti nella privatizzazione della sanità. Da ora i vaccini verranno somministrati ai dipendenti direttamente dall’azienda. E così, in un colpo solo, il pubblico abdica alle proprie funzioni, le aziende potranno esercitare un controllo diretto sulla salute dei propri dipendenti e il principio solidaristico per cui per cui innanzitutto si cura chi è più fragile va a farsi fottere. Grandissimo risultato bisogna dire. Per fortuna il governo Draghi si è subito dimostrato recettivo e ha ipotizzato di estendere l’accordo a livello nazionale… La salute è un diritto di tutti non solo di chi è produttivo! L’accordo che permette alle aziende di vaccinare i lavoratori va rigettato senza se e senza ma!

Oggi è l’8 marzo. Oggi NON è la festa delle donne. Oggi è la Giornata internazionale delle donne. Oggi è una giornata di sciopero, di lotta. Perché non c’è emancipazione umana senza emancipazione della donna. Perché la conquista dei diritti sociali non è possibile senza la conquista dei diritti civili. Perché il socialismo limitato ai soli uomini non è socialismo. Per questa ragione rispondiamo all’appello di Non Una di Meno per il quinto anno di sciopero globale femminista e transfemminista. Necessario a maggior ragione oggi, nel mezzo della pandemia da Covid-19, che ha colpito soprattutto le donne, in particolare le donne proletarie. Il problema è sistemico e solo una trasformazione complessiva della società, solo l’abbattimento del capitalismo e della cultura dominante, permette di superare la subordinazione femminile.

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