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San Berillo: il turismo, la civiltà del manganello e la puttanofobia applicata. - 5 Parte

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Un movimento genuinamente rivoluzionario dovrebbe, nella teoria e pratica, mettere a nudo i rapporti e ruoli dati dallo sfruttamento lavorativo e puntare sia sull’abolizione di esso che sulla creazione di una serie alternative volte alla distribuzione equa della ricchezza.
Le reazioni a queste progettualità da parte della borghesia sono state principalmente due: scontro duro e/o “annacquamento”. Se la prima reazione è sempre stata deleteria da un punto di vista di opinione pubblica e di danneggiamento degli affari (fatto sotto-forma di boicottaggi), la seconda è quella più usata in quanto subdola e con risultati eccellenti in termini di divisione e ristrutturazione.

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L’ “annacquamento” delle progettualità rivoluzionarie viene portato avanti con la complicità delle persone considerate “utili idioti” e “opportuniste” o, giusto per citare una canzone dei 99 Posse, “rafanielli”.
Questo discorso sintetico che, per chi legge, sembrerà ovvio e a tratti banale, serve per comprendere come tutta una serie di gruppi considerati “politici radicali” presenti sul quartiere abbiano fatto delle scelte politiche ben precise nei confronti dei/delle sex workers.
L’incapacità di relazionarsi e interagire con i/le sex workers è derivato, principalmente, dagli approcci “comunistoidi” (ovvero la ricerca della creazione di un'avanguardia) e “ribelli” (ovvero delle risposte fisiche temporanee contro le forze dell’ordine).

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In entrambi i casi, questi approcci rappresentano delle mere spettacolarizzazioni dove le persone coinvolte (i/le sex workers) diventano una sorta di fenomeni da mettere in bella mostra.
In definitiva: degli esseri incapaci di stare allo stesso livello dialettico e pratico di chi ha tutta una serie di preparazioni teoriche politiche.
Chi abita o frequenta quartieri considerati malfamati o popolari sa bene che l’obiettivo delle persone residenti e lavoratrici a livello “illegale” è poter sopravvivere in un sistema socio-economico del genere.

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Gli accordi con i clan mafiosi e quelli ufficiali e sottobanco con le forze dell’ordine fanno parte di questo “gioco” della sopravvivenza.
Possono essere etichettate come discutibili e politicamente inaccettabili accordi del genere; ma non dimentichiamo sempre che non parliamo di persone “inesperte” o “ignoranti” ma navigate e con un proprio bagaglio di esperienza di vita.
Per sopravvivere in una società iniqua, piramidale, escludente e gerarchizzata come quella odierna si devono scendere a tutta una serie di compromessi. Se si svolgono, poi, lavori considerati illegali e in cui lo stigma morale è alle stelle, il compromesso è più che necessario oltre che vitale.

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I/le sex workers di San Berillo sanno bene cosa comportano gli accordi con i clan e la polizia, il loro ruolo all’interno di una società come quella catanese (borghese e cattolica) e i rischi fisici e psicologici qualora hanno a che fare con dei clienti violenti.
Come si vengono a sapere cose del genere per chi, per esempio, non vive all’interno del quartiere? Approcciandosi tramite il dialogo ma soprattutto ascoltando senza dare giudizi o farsi i castelli in aria su avanguardie e ribellismi.
La costruzione delle relazioni parte, quindi, dalla cosa più banale ed ovvia di questo mondo al di là delle letture di libri, visioni di video in cui le camionette della polizia vanno a fuoco e partecipazioni a seminari accademici sul fenomeno del sex working.

@Maria_Pantazi grazie per il contributo. Sono d'accordissimo sul dialogo, ma questo dialogo mi chiedo a cosa dovrebbe portare?

Superamento? Accettazione?
Normalizzazione?

Lo chiedo perché ho delle idee molte confuse in merito.

@utentone fermo restando che non ho ancora finito di scrivere tutta la cosa su San Berillo. In questa quinta parte parlo di dialogo come un processo iniziale (e non finale) nell'interagire con delle persone che, a differenza di tante altre loro colleghe/ presenti qui nel loro territorio, hanno un margine di libertà superiore.
Il discorso degli obiettivi, da un punto di vista politico anarchico o comunque rivoluzionario in senso di distruzione del sistema capitalistico, è quello di superare lo sfruttamento lavorativo una volta per tutte. Per avviare un processo del genere, però, si devono capire una serie di passaggi.

@utentone Il primo, intanto, è quello di rapportarsi con loro, conoscendole/i ed eventualmente sapere anche tipo di problemi abbiano; il secondo, che quello più difficile nell'immediato, è l'alternativa che si vuole offrire in termini di relazioni sia sociali che economici perchè, fino a questo momento, essi/e vivono vendendo il loro corpo e ottenendo - nel caso di chi ha una casa di proprietà - un profitto ragguardevole.
Secondo me, prima di partire in "quarta" ed evitando il trappolone della normalizzazione del lavoro, si dovrebbe un attimino seguire questa cosa del dialogo, mantenendo comunque il dato politico sul superamento o distruzione o abolizione del lavoro in sé.

@utentone È un lavoro politico e sociale molto lungo e paziente da fare (specie se non si abita direttamente in quel quartiere). A volte è anche difficile mantenere la linea politica perchè o ci si fa trascinare da tutta una serie di dinamiche (tipo lo scontro tra loro e i gambiani) oppure perchè ci si stanca causa fattori esterni (tipo gli impegni e i casini della propria vita personale).
Però non si può pretendere - e lo dico in generale e non rivolto a te - che le cose cadano dal cielo o tifare riot che durano il tempo di una scorreggia.

@utentone ps per tuttu: quando parlo di abolizione del lavoro lo intendo in generale e non solo quello sessuale eh.

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