Soggetti e Potere

Zulema, il prezzo del riscatto

Ci sono serie televisive che riescono a tenere assieme recitazione standard, colpi di scena e  complessità delle relazioni, del resto proprio le serie tv sono il format migliore per distendere questo intreccio a perdita d’occhio. Vis a Vis (Il Prezzo del Riscatto), visibile su Netflix insieme al suo capitolo conclusivo Vis a Vis: Oasis, è un esempio illuminante di questo genere di serie tv che parte senza apparenti pretese di recitazione per poi rivelarsi intricata nella trama e originale nei contenuti. Vis a Vis è una produzione spagnola che, nonostante la confezione spartana fatta di una recitazione basica, ha lasciato un segno profondo, operando come un bisturi affilato che incide la superficie del prison drama per entrare nei dispositivi antropologici crudi della sopravvivenza e della trasformazione umana negli ambienti concentrazionari. È fondamentale, fin da subito, sgombrare il campo da facili accostamenti: sebbene l’ambientazione carceraria femminile, e le relazioni tra carcerate, possa ricordare Orange is the New Black, la traiettoria di Vis a Vis è diametralmente opposta. Non una dramedy corale focalizzata su backstories e critica sociale con toni variabili, ma un teso e spesso brutale thriller psicologico che privilegia la suspense, la lotta per il potere nel carcere privatizzato neoliberista e l’analisi della de-umanizzazione in condizioni limite peggiorate da un personale di sorveglianza nevrotico, frustrato e pervertito.

La vicenda prende le mosse da un archetipo narrativo – una donna , Macarena Ferreiro, innocente ma condannata e catapultata in un ambiente carcerario ostile (Cruz del Sur, immaginaria prigione femminile privatizzata) – ma lo sviluppa lungo traiettorie impreviste. L’impatto con la realtà della detenzione è immediato, un ecosistema chiuso con proprie leggi darwiniane, dominato dalla figura carismatica e letale di Zulema Zahir. L’ antagonismo/attrazione tra Zulema e Macarena diventa l’asse attorno cui ruota non solo la trama principale, carica di suspense e colpi di scena anche per i parenti fuori dal carcere, ma soprattutto l’esplorazione della plasticità dell’identità umana quando la necessità impone nuove regole morali e di comportamento. Oasis, anni dopo, dopo quattro stagioni televisive nel mondo carcerario vedrà Macarena e Zulema riunite in un paesaggio desertico per un’ultima, quasi testamentaria, impresa criminale, sigillando un legame complesso  tra loro che sfida costantemente ogni definizione.

Il nucleo tematico della serie risiede nell’analisi quasi fenomenologica della lotta per la sopravvivenza dentro le mura carcerarie. Le relazioni interpersonali sono qui ridotte alla loro funzione strumentale: alleanze tattiche, gerarchie basate sulla forza e sulla manipolazione, tradimenti come necessità strategica di sopravvivenza. La serie tv qui convince nel mostrare come l’istinto di conservazione diventi il motore primario, rimodellando priorità e valori. È un ambiente dove la lealtà è merce rara e costantemente sotto assedio, e dove persino i legami più intensi sono intrisi di ambiguità e pericolo.

Questa tensione esistenziale è ben tradotta nel linguaggio visivo e registico della serie, fino ad assumere valenza iconica. La fotografia si distingue: il giallo delle divise delle detenute non è solo un colore, ma un significante potente. Rappresenta la massa indistinta su cui l’istituzione impone il suo marchio, ma anche il caos feroce e vitale, la potenziale ribellione, l’energia compressa pronta a esplodere. Questo giallo vibrante è costantemente in contrasto dialettico con i grigi e i blu freddi della struttura carceraria, colori che incarnano l’ordine, la sorveglianza, il controllo istituzionale. È una lotta cromatica che riflette visivamente il conflitto collettivo centrale della serie tra detenuti e istituzione privatizzata. La regia governa questa tensione con precisione: l’uso insistito di primi piani scruta i volti, catturando micro-espressioni che rivelano interi mondi interiori; le inquadrature che incorporano elementi architettonici (sbarre, vetri, corridoi stretti) non solo rafforzano il senso di claustrofobia, ma commentano visivamente la condizione di reclusione e lo sguardo panottico del potere. Il montaggio alterna ritmi sincopati nelle scene d’azione a dilatazioni temporali che amplificano la suspense psicologica.

Un elemento permanente della narrazione di Vis-a-Vis  sono le sequenze di interviste “documentaristiche” alle detenute. Inserite strategicamente, queste pause riflessive rompono il flusso del thriller per offrire uno spazio diretto all’espressione delle paure, dei desideri, delle speranze – spesso disilluse – delle donne incarcerata. Funzionano come contrappunto lirico o drammatico alla crudezza degli eventi, aggiungendo uno strato di profondità psicologica e di soggettivazione del desiderio prima e dopo la detenzione, quasi a voler ricordare la dimensione umana individuale anche nel contesto spersonalizzante del carcere.

Il simbolismo filmico è un altro pilastro della serie Tv: lo scorpione associato a Zulema è l’emblema più evidente della sua natura pericolosa e resiliente. Ma anche l’architettura stessa del carcere, labirintica e opprimente, diventa simbolo di un sistema che deforma e impone alle detenute trasformazioni strazianti. La regia qui è attenta a caricare di significato oggetti comuni, trasformati dalla necessità in strumenti di potere o di violenza, e a costruire un linguaggio non verbale denso di sottotesti.

Vis a Vis: Oasis , la quinta ed ultima stagione che è anche uno spin-off della serie girata dentro il carcere,  segna poi una netta discontinuità ambientale e narrativa rispetto agli episodi precedenti. Oasi, infatti, abbandona la claustrofobia carceraria per gli spazi aperti ma non meno ostili del deserto. Questo cambio di scenario simboleggia una libertà apparente, ma la dinamica del gruppo criminale ricrea una diversa forma concentrazionaria di isolamento e tensione. La struttura narrativa vira verso il genere heist, concentrandosi sul rapporto simbiotico e distruttivo tra Maca e Zulema e sulla loro ultima rapina. L’estetica si fa, a tratti, più satura, quasi allucinata, con echi che alcuni hanno avvicinato a un certo cinema postmoderno e pulp, forse un modo per sottolineare la natura eccezionale ed estrema di questo epilogo, volutamente diverso nel tono dalle quattro stagioni precedenti ma necessario per portare a compimento le linee narrative principali in modo definitivo e quasi mitologico.

Il prezzo del riscatto, da una condizione continuamente nuova perché inumana, estremo e annunciato, pagato da Zulema nell’ultimo episodio di Oasi, ce la rende definitivamente il personaggio principale delle serie che era cominciata con Macarena, che si riscatterà a sua volta, come personaggio principale. Anni di prigionia a Cruz del Sud prima e dopo a Cruz del Norte, altro immaginario carcere femminile privato più duro del precedente, contengono leggi spietate non solo di sopravvivenza ma anche di riscatto: per chi ha origini precarcerarie di pura devianza, come Zulema e anche Altagracia – protagonista di rovesciamenti estremi di ruolo a Cruz del Norte – il prezzo del riscatto non può che essere pesante.

In definitiva, Vis a Vis è un’opera televisiva di notevole spessore, con una recitazione standard, da serie tv mainstream, che utilizza gli stilemi del thriller per arrivare a condurre un’indagine acuta, incalzante, sempre ricca di spunti nuovi  sulle continue torsioni della condizione umana sotto forte pressione. La sua forza risiede nella coerenza tematica, nella potenza visiva e nella capacità di creare personaggi complessi e memorabili, la cui evoluzione è destinata a lasciare tracce durature nella memora degli spettatori.

per Codice Rosso, nlp