I detenuti che all’interno delle case di detenzione italiane svolgono mansioni lavorative dai nomi alquanto anacronistici quali “spesino”, “scopino”, “piantone”, “portavitto” non vedono adeguarsi la loro mercede (la retribuzione di chi lavora appunto nelle carceri) dal lontano 1993 in quanto è da allora che per la mancanza di fondi la Commissione Ministeriale responsabile di disporre gli adeguamenti non si riunisce, quindi è da oltre 20 anni che l’Amministrazione Penitenziaria e per suo tramite il Ministero della Giustizia si trova ad essere causa di discriminazione dimenticando la funzione di rieducazione che invece deve essere garantita ma soprattutto tale condotta va a scapito dell’affermarsi di una valida cultura del lavoro all’interno degli istituti penitenziari.
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