tornare ad essere un fiore / lucia manetti. 2024
Si può voler tornare ad essere un fiore per ragioni differenti, tutte ugualmente rispettabili. Solitamente, quando non essere un fiore diventa una minaccia per la sopravvivenza.
Può succedere mentre si cammina dietro a qualcuno lungo un fiume, che porta a delle cascate rilevanti per la trama dei personaggi candidati a fiore. Succede anche in mezzo agli alberi, che a un certo punto la terra si apra e lasci uscire delle braccia selvatiche che vogliono riportarti dentro di lei.
Per l’intenso sforzo muscolare del desiderio, il pensiero sprofonda all’improvviso sotto una colonna di atmosfere e oscilli dentro gli occhi di chi ti sta di fianco, interdetto. Le tue movenze ormai di fiore diventano molli, come lo sguardo che si scambiano due fiori su steli perfettamente paralleli, che crescendo all’infinito, così vicini, non riusciranno ad incontrarsi mai. Pure se hanno degli interessi in comune.
Quindi metti live le tue radici nel profondo, crescono tra le dita disperate di chi ti accarezzava la pelle bianca, quasi trasparente, come i petali del fiore che stai diventando. A questo punto sei quasi un fiore, ti attendono trepidanti i cimiteri e il quattordici febbraio, ci sei quasi, manca solo quell’ultima spintarella: devono accompagnarti alla porta del diventare un fiore, bussare all’amministratore delegato dei fiori e chiedere il relativo modulo.
Per tornare ad essere un fiore bisogna lasciarsi tutto alle spalle, senza andare nel panico se i polmoni non si gonfiano, l’ossigeno viene assorbito comunque.
Poi quando c’è finalmente il fiore, tu non ci sei più.
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